Translate

giovedì 31 ottobre 2013

Emozioni stanno dove

Voglio imparare a fare tante cose. A mangiare, a dormire, a sorridere e a dimenticare. Ma prima è necessario trovare una camera in affitto. Non è facile. No, che non lo è. Ci sono migliaia, forse decine di migliaia di persone alla ricerca di una camera. Questo è il motivo che mi spinge ad allargare la rete della mia ricerca: ora sto guardando a Wavre, ad Anversa, a Gent, a Namur. Persino nell'austera Nivelles. E nella bucolica Braine-le-Comte. L'entusiasmo se ne va, sul calare del giorno. Resta l'amarezza, perché il fallimento della ricerca di un assetto migliore di vita sembra - ma lo so che non lo è, almeno non del tutto - una conseguenza delle basi erronee su cui ho impostato questa mia nuova esperienza professionale.
Adesso potevo essere altrove, a fare cose molto diverse. E più adatte a me. E invece sono qui. A scrivere sul blog del Nocciolo delle Cose Belle qualcosa che tanto bello non è. Anzi. E' un sentimento fastidioso, quello che si prova quando si esce dalla banca d'affari, dopo un giorno intero a fare cash reconciliation col cervello mio proprio, si fa una girata nella vicina Place du Luxembourg, e ci si sente immersi in una realtà che non ci è propria, che non è propria a nessuno di quelli che ne fanno parte. Un tempo li invidiavo, quei fighetti che hanno vinto un posto alla Commissione o al Parlamento Europeo. Ora non mi importa niente. Perché sono riuscito a vedere la loro realtà, che si allinea a quella mia attuale.
Per iniziare una nuova vita ho bisogno di trovare una nuova casa. E poi da lì mi espanderò. Conoscerò nuovi bar, nuove tabaccherie, nuovi ortofruttivendoli, e soprattutto nuovi kebabbari. Questi sono i punti fermi di cui ha bisogno l'uomo moderno. I sentimenti atavici che dominano le pulsazioni del cuore, però, moderni non lo sono affatto.

venerdì 18 ottobre 2013

Belgio, adieu! Je suis venu te dire, que je m'en vais.

Non ce la faccio più. Questo paese ottuso e freddo, privo di identità nazionale, che vanta cozze e patatine fritte come piatto rappresentativo, ed è amministrato da una ganga di socialisti e da un primo ministro con orribile riporto di capelli tinti marroni e ignobile farfalla rossa, non fa per me. Mi sta nuocendo, e in diverse maniere. Mi nuoce anzitutto al portafogli. La burocrazia partorita da questo popolo che, sicuramente, non fa scrupolo di rivelare una forte protensione verso il demenziale, si puppa quasi la metà dei miei redditi molto sudatamente guadagnati. Mi nuoce poi ai nervi: perché non c'è nulla che agevoli un povero cristo che arriva a Bruxelles e s'ha da piazzare da qualche parte, in affitto in qualunque buco visto che non consente, il paese dei socialisti, di dormire nella metropolitana. Gli avidi landlords brussellesi sparano cifre astronomiche, e nemmeno si danno pena di chiedersi se siano adeguate o no. Certo che lo sono! Ogni giorno arrivano frotte di giovani disperati, bisognosi di una stanza e di un materasso, figuriamoci se uno spazio ricavabile di due metri per tre nel ripostiglio, nella soffitta o in cantina non può trovare qualcuno a cui far gola! Pochi giorni fa, tra l'altro, ho scoperto che le rendite da affitto non sono neppure tassate. Insomma, il padrone di una palazzina fatiscente s'arricchisce alla grande sulle necessità di poveri stagisti o lavoratori stranieri, e lo stato belga, oltre a metterlo in condizione di far quel che gli pare, neppure lo tassa. I soldi, ovviamente, il Belgio non li prende allo spregiudicato e ormai ricchissimo palazzinaro, ma nelle tasche dei poveracci vittime dei suoi soprusi.
Lo stato belga si scrive con la minuscola, perché come gli stessi belgi mi dicono, il parlamento belga non conta granché: a contare - dicono sempre i belgi, fiamminghi soprattutto - sono il parlamento fiammingo e quello vallone! Il demenziale non conosce fine. Certo, fra quelli del nord che parlano Dutch e quelli del sud che parlano un dialetto francese molto brutto e poco comprensibile ci sono ben più differenze culturali di quel che corre tra la padania e il resto d'Italia. Ma questo è il paese dell'assurdo, quello in cui si usa creare un nuovo ente pubblico per fare le cose più cretine, in cui la parola semplificazione può far sorgere solo la necessità di creare un nuovo ente che se ne occupi, e poi un altro apparato che si occupi di coordinare le strutture della semplificazione, e poi magari un nuovo organismo per monitorare la coordinazione degli enti che devono raccogliere i dati sulla semplificazione, e poi - perché no - un altro soggetto istituzionale che si occupi della diffusione dei dati statistici raccolti, che ovviamente servono qui a una sega, ma intanto lo stato socialista ha creato migliaia di posti di lavoro. Posti di lavoro inutili, come quelli dei gilet viola chiamati "gardiens de la paix" o quelli dei gilet rossi che devono stare a presidiare le stazioni metro e autobus, senza il potere di fare multe o alcunché e tantomeno aiutare gli utenti in caso di necessità. Gente col gilet che vaga, cammina in giro. Spesso sono fuori a fumare una sigaretta. E lo stato belga sorride: i conti tornano. Ovvio che tornano. Hanno spremuto tutti quelli che potevano spremere, e per nascondere lo sperpero del gestito fiscale hanno creato un sontuoso gioco dei barattoli. Ma tra poco io me ne vado. Sì. Stavolta da qui me ne andrò sul serio.

domenica 10 marzo 2013

ANCORA UN VIAGGIO CHE NON VUOL FINIRE (Budapest e giù di lì), parte I

Il tempo della vacanza sta per finire. La clessidra si è quasi svuotata. Mi sembra di essere qui da tanto tempo, ma in realtà sono arrivato in Magyarorszagon soltanto una settimana fa. Ho fatto tanti chilometri a piedi, col borsone sulle spalle. Il vero riposo me lo dovrò prendere quando sarò tornato a casa, a questo punto. Ma ne valeva la pena. Ho visto posti meravigliosi, città poco note eppure ricche di grande fascino e piccoli tesori da scoprire. All'inizio avevo progettato di arrivare a Budapest, scendere poi a sud fino a Szeged, restarci un paio di giorni e poi superare il confine romeno per visitare Timisoara, che a quanto ho sentito è una città bella e interessante. Da là, poi, sarei sceso fino a Novy Sad, per far visita ad AHA, un'amica di Malta. Da Novy Sad sarei poi arrivato a Belgrado. Questo era il progetto con cui sono partito. Come molto spesso accade, sono stato costretto a cambiare itinerario.
L'arrivo a Budapest è stato abbastanza tranquillo. All'aeroporto ho conosciuto uno studente erasmus turco, che ho seguito per raggiungere il centro di Budapest. Autobus e poi metro fino alla stazione Deak Ter. La zona del centro in cui sono sbarcato è bellissima. L'ostello in cui avevo prenotato la prima notte mi aveva fornito le indicazioni su come raggiungerlo. Da Deak Ter ho cercato e trovato Kiraly Utca. Ambiente carino, l'ostello. Erano le dieci di sera quando ci sono arrivato, senza perdere tempo ho chiesto alla ragazza della reception dell'ostello dove potessi mangiare un buon perkelt senza andar lontano. "Qui di fronte, cammini venti metri e trovi un ristorante che si chiama Frici Papa. Fanno ottima cucina ungherese!". Ci sono andato assai affamato, con la brama di rivivere l'esperienza estatica di una cena ad Harkany del 2007, ma è andata male. Ho trovato chiuso. Ho ripiegato nel meno seducente Gyros Kebab lì accanto. I turchi sono da sempre un popolo flessibile.
Carico di energia, e visto che era sabato sera, ho cercato il fulcro della vita mondana magiara. La ragazza dell'ostello mi aveva consigliato un locale, Instant Club, che a quanto pare è un locale alla moda. Questo è un grosso palazzo che qualcuno ha preso e trasformato in un locale pubblico stranissimo, in cui i vari appartamenti che ne facevan parte adesso sono diverse sale in cui si suonano tipi diversi di musica, si beve birra, ci si siede e qualcuno gioca a scacchi. Grosse tende di plastica separano il chiasso di un'area da quello d'un altra. Appesi in alto, sulle alte pareti, ci stanno quadri religiosi. Le pareti sono piene di graffiti, sulle scale c'è puzza di sudicio per non dire vomito. Ho preso una birra Soproni e ho fatto un giro. Gruppi di italiani in gita, e altri stranieri, ma soprattutto i magiari. Serata tranquilla, dopo un'ora sono tornato in ostello visto che avevo finito le batterie.
Il giorno dopo sono ai bagni Szechenyi. Mi aspettavo qualcosina di meglio, ma non si stava male. Anche lì tanti italiani in gita o altro.
Il mattino che segue prendo il treno per Szeged. Ne avevo sentito parlare tanto bene, perciò mi aspettavo tante cose. Ci arrivo e all'uscita della stazione non sembra quel gran che. Mi faccio un chilometro a piedi, però, e arrivo in centro. Non c'è traccia di ufficio del turismo. Su Hostelworld non ho visto ostelli. Non ho prenotato nulla e avrei preferito non andare a spendere cinquanta cocuzze in hotel. Così fermo un tizio di colore, che certamente non è del posto. Lui mi dice di andare a chiedere in un bar che sta poco più avanti sulla strada. Con molto scetticismo proseguo e faccio quanto mi ha suggerito costui. Entro nel bar, dico qualcosa per rendere comprensibile il mio proposito ma non esce alcun effetto. Cammino ancora, scopro il centro che è carino. Fermo un po' di gente, ma nessuno sa dirmi qualcosa di utile. Finché non appare una donna che parla inglese. Mi dice di andare in un collegio universitario, dove affittano camere a visitatori. Ci vado, trovo un'anziano babushka (come si dice in russo, ma qui non ho idea del termine equivalente magiaro) che ovviamente non capisce una mazza di quanto cerco di dire. Stanno passando due studentesse di lì, le fermo e una di loro si presta a fare da interprete. Questa fra l'altro parla l'italiano. La donna dietro il vetro della reception dice che non hanno camere disponibili, ma mi dà l'indirizzo di un posto simili in cui ne hanno. Così ci arrivo, e tutto va insospettabilmente bene.
Szeged è una città molto bella, il suo centro storico ha qualcosa di Budapest ma già l'architettura lascia intravedere delle differenze - che avrei trovato più evidenti scendendo in Serbia. Non so se è lo stile che loro chiamano Secessione. Se ho capito bene, l'hanno portato gli Ottomani, i precursori dei venditori di kebab, che al posto dello spiedo del gyros usavano sciabole affilate e insanguinate.
Tanto bella quanto tranquilla. Durante la settimana Szeged è morta. I locali sono chiusi oppure deserti. Non c'è nessuno per strada. Ho chiesto il perché a dei ragazzi che ho incontrato la sera seguente, a un meeting di utenti di Couchsurfing, e mi han detto che questa è una città universitaria dove si studiano soprattutto biologia, medicina, e altre cose assai toste che tengono gli studenti ben impegnati sui libri. I giovani escono solo venerdì e sabato, ma è mercoledì e nel weekend io sarò lontano.
Il giorno dopo arrivo a Novy Sad, per far contenta AHA, la serba di Malta. Rinuncio così alla Romania, con l'idea di andarci dopo Novy Sad.
Durante il tragitto, ho la conferma di quanto Angela mi aveva detto sui trasporti. In questa parte di mondo, per fare cento chilometri ci vogliono due ore e mezza. Anche l'intercity da Budapest per Szeged non ci aveva messo i tempi di un intercity, ma bensì i tempi del trattore di mio nonno.
Gli autobus sono un po' vecchi, c'è puzza di un po' di tutto. Ma costano pochissimo.
Sceso alla stazione di Novy Sad ho pensato: "Boia deh, ma che in che cesso di posto son finito?".
Lo stile è quello dei peggiori ghetti sovietici.
C'è però AHA ad aspettarmi lì, e con lei ci avviamo verso il centro, chiedendo informazioni ai passanti, perché lei è di Belgrado e non conosce questa città. Anzi, ignora pure l'esistenza di un centro storico.
Fra l'altro, le chiedo quale sia il cambio dinari-euro, e lei mi dice una cifra sbagliata. Pensando che a cinquanta euri corrispondano cinquantamila dinari, faccio un prelievo al bancomat Unicredit che mi rende un uomo insospettabilmente ricco di dinari.
Alla cazzata numero uno segue la cazzata numero due: AHA mi dice "Ma che, vuoi andare in giro con tutti questi soldi? Entriamo dentro la banca, e te li fai ricambiare in Euro". Così faccio, e così mi privo di tanta carta filigranata. Due giorni dopo avrei scoperto che i dinari potevano anche farmi comodo.
Il centro storico lo troviamo, ed è molto carino. Anche qui c'è un che di Austro-Ungarico. I serbi sono un popolo super-gentile. Un tizio ci vede spaesati per la strada, e si avvicina per offrirci le indicazioni di cui abbiamo bisogno.
Arriviamo all'ostello che ho prenotato, ci lascio il borsone che intanto mi ha sviluppato la muscolatura della schiena, e andiamo a cena in un ristorante giusto accanto alla cattedrale.
Sarà che siamo scesi a sud, ma qui l'aria che respiro è decisamente più italiana. L'aria che tira sembra quella che respiro nella pineta di San Piero a Grado. Nella grande piazza dell'ufficio del turismo si sta benissimo, c'è un sole caldo e un venticello dolce che mi vien voglia di farci una dormita. Questo il giorno dopo, intendo.
Il giorno dopo l'arrivo mi sposto al Downtown Hostel. AHA non si fa risentire, così mi faccio un giro da solo e mi godo quell'atmosfera di pace, di profonda serenità che si respira in città. Fresco per la dormita, la sera di giovedì vado in giro per discoteche. C'è una strada dietro la Cattedrale che pullula di bar e discoteche splendide. Faccio il giro di diversi locali. In un pub assisto al tragico secondo tempo della partita Tottenham-Inter, in cui l'Internazionale non fa veramente un figurone. Ciò non incide più di tanto sul mio umore, tuttavia, e continuo a godermi la birra LAV che i serbi propongono, e pure quel clima vacanziero e già festivo (anche se manca un po' all'estate) che lì ho trovato.
Le fanciulle sono gentili e discrete, donne d'altri tempi. Non parlano altra lingua salvo il serbo, e questo non agevola le interazioni sociali coi turisti e con uno in particolare.
Il progetto di viaggio lo modifico una volta che scopro che non ci sono connessioni con la Romania. Pur essendo poco distante, all'ufficio del turismo mi dicono che non ci stanno né autobus né treni per andare a Timisoara. Mi dicono che dovrei andare a Belgrado, e là magari troverei delle connessioni perché è il centro nevralgico di questa splendida nazione.
Ma io a Belgrado non ho tanta voglia di andarci. Vista la lentezza dei trasporti, penso invece che sia il caso di avvicinarmi di nuovo a Budapest, invece di allontanarmi ulteriormente.
Così decido: faccio tappa a Subotica, poi da lì riprendo il treno sulla linea per Budapest, e mi fermo a Kecskemét.
Prima di partire per Subotica, però, voglio vedere ancora un po' di Novy Sad. Perché è una grande città, e ci deve pur essere qualcosa oltre il grazioso ma piccolissimo centro storico.
Arrivo al Museo Nazionale d'arte serba. Al primo piano ci stanno opere del diciassettesimo e diciottesimo secolo, di raffigurazioni religiose. Cristi in croce, Madonne, Giovanni Battista con la testa in mano, icone varie. C'è una raffigurazione che mi colpisce, perché non l'ho mai vista altrove. In inglese si chiama The dormition of the virgin, e lì è presente in due quadri. Al centro c'è la Vergine col bambino in mano, circondata da gente in adorazione. Più in basso c'è un omino con l'aureola (forse un angelo) che ha una falce in mano ed ha appena tagliato le mani a un altro omino (senza aureola, un diavolo o non so chi) che le aveva appoggiate al letto della Vergine. Le mani restano lì, sanguinanti, attaccate al letto. Non so ricollegarla ad alcun episodio biblico.
La perla del museo comunque si trova al secondo piano, dove c'è l'esposizione permanente dell'arte contemporanea serba. Nulla di straordinario, gli artisti serbi non sono nulla di speciale, se comparati ad altre realtà europee del tempo. Fa eccezione Stevan Alecsic, che è chiaramente un genio. Il quadro dell'autoritratto con sua moglie, con lei che lo abbraccia dolcemente e lui che la allontana schifato è superbo. Pure il grande ritratto di nudo femminile è stupendo. Alecsic da sé vale ampiamente il costo del biglietto (una miseria, del resto).
A Subotica ci arrivo con un autobus poco diverso da quello che ho preso per arrivare a Novy Sad. Fa un gran caldo, sudo molto.
Alla stazione degli autobus, che non è proprio in centro, un tizio alto che viaggiava con me sull'autobus e aveva intuito che sono straniero mi chiede se c'è qualcuno ad aspettarmi. Dico di no, e lui offre di darmi un passaggio in centro con la sua auto. Accetto e così andiamo. Il centro di Subotica è molto bello. Mi bastano pochi minuti per capire che Subotica è molto più bella di Novy Sad. E' più "città", anche se più piccola. Novy Sad ha un piccolo centro storico contornato da un vasto asserragliamento di costruzioni del razionalismo socialista, Subotica invece fa capire di avere un'altra storia. Subotica, o Szabadka, o Mariateresiopoli. Tanti nomi per una città che ha vissuto sotto tante forme, popolata da gente diversa, che parlava lingue diverse e credeva a diverse divinità.
Sebbene le recensioni su Hostelworld non siano esaltanti, decido di recarmi allo Hostel Incognito (l'unica review sul sito menziona che il letto è comodo e il posto è ok per passarci un paio d'ore).
Prima però vado all'ufficio del turismo, dove ho una breve conversazione con un serbo che parla l'Inglese maccheronico e però mi è d'aiuto, dandomi una cartina della città).
Devo dire che questa vacanza presenta non poche botte di culo, in fatto di alloggi.
All'ostello Incognito per mille dinari mi danno un posto letto in una camera da tre letti, in cui ancora una volta sono l'unico cliente. Insomma, mi ritrovo a poter fare i miei comodi.
Mi dò una sciacquata perché non sono fresco come una rosa. Ancora una volta ho camminato per chilometri col borsone sulla schiena e miei muscoli, sempre più possenti, sono affaticati.
La sera esco.
Ho dimenticato di dire che nel secondo giorno a Novy Sad ho preso un caffé con una Danijela, una donna serba conosciuta via Couchsurfing. Lei è di Subotica e mi ha dato dei consigli su cosa fare e dove andare a mangiare. Trovo il Caffé Boss, che lei mi aveva suggerito, e lì ordino una bistecca in salsa di gorgonzola. Uhm, che bontà. Quasi compete col perkelt. Sono sempre più innamorato di questo paese e del suo popolo meraviglioso.
Danijela mi aveva poi parlato di Engelsova, la strada delle discoteche. Questa non la trovo, ma una piccola targa mi fa pensare che sia il vecchio nome dell'attuale via Matias Corvino, dove in effetti stanno un po' di locali affollati di gioventù.
Finita la bistecca in salsa di gorgonzola ho fatto un bel giro, per arrivare in una discoteca stile Maracaibo (a Subotica c'è praticamente di tutto). Ho parlato con un po' di gente, ho bevuto ancora LAV e ho cercato di ballare, ma la camminata col borsone aveva indolenzito le mie articolazioni e così ho trovato più opportuno stare fermo. Ho parlato con una giovane e bella fanciulla vestita tutta di verde. Conversazione non molto gratificante, e soprattutto durata poco: questa Laura parlava soltanto ungherese. (A Subotica, che è vicina al confine, ci stanno tanti ungheresi che non parlano nemmeno serbo, a quanto ho capito). Ho chiesto alla barista, che parlava inglese, se lei sapeva magari l'ungherese per farmi da traduttrice, ma ha detto di no. Così ho gettato la spugna. Però, ho pensato, boh, magari l'impossibile può divenire possibile e si può rimanere in contatto. Così le ho detto in un linguaggio assai elementare che avrei voluto rimanere in contatto, visto che mi ispirava tanta simpatia. Lei ha capito, e senza usare tanti termini mi ha fatto capire che era su Facebook. Ho scritto il suo nome su un foglietto, con una penna verde come il suo vestito. Il giorno dopo, che già ero a Kecskemét, l'ho trovata finalmente sul social network. Le ho mandato la richiesta di amicizia. Nel giro di dieci secondi lei ha accettato la richiesta. Come un falco, il mio occhio vede la data di nascita: ha quattordici anni meno di me, orsù!