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domenica 7 agosto 2011

Odessa. Un viaggio nella storia di un viaggio

M'è difficile ricordare... Perché ancora più difficile è dimenticare.
(Non so bene cosa voglia dire, ma mentre aspetto che la bistecca di maiale sia pronta posso cogliere l'occasione per un nuovo post. Dopo una lunga assenza, ho deciso di mettere per iscritto qualcosa della mia meravigliosa esperienza odessana).
Panta Rei. Tutto se ne va, e produce un suono diverso a seconda dei momenti. Ora è un lento gorgogliare, ora invece è un tumulto roboante di emozioni voluminose e impegnative. L'attesa della cena è senz'altro il momento più adatto per concentrarsi per un minuto, in cerca della miglior forma con cui esprimere un'esperienza complessa.
Voglio davvero raccontare un'esperienza complessa? No. A pensarci bene, il tempo della vita è troppo breve per cercare la spiegazione per cose simili. Mi accontento allora delle cose semplici, che si snocciolano nella lista della spesa, e poi lasciano tutto all'immaginazione (e dunque al libero arbitrio che in maniere imprescrivibili circoscrive lo sterminato orizzonte semantico delle parole, delle lettere, ma pure della punteggiatura).
Sono tornato in Irlanda solo due giorni fa, e quella città di mare, lontana per cultura e per storia, continua ad evocare in me ricordi e belle memoria. E' una città greca, indubbiamente il suo nome ha la stessa origine di quello del protagonista del secondo poema omerico.
Sono arrivato a Odessa il 2 luglio, alle 10 e mezzo di sera. Viaggio con poco comfort: sono partito al mattino da Shannon, sono arrivato a London Gatwick e lì ho dovuto aspettare per tre ore il volo per Kiev. Nella capitale ucraina l'aereo è arrivato con notevole ritardo, pensavo di aver già perso il volo di coincidenza per Odessa ma in realtà questo era ancora più in ritardo, sicché tutto è andato bene.
All'aeroporto della città greca era presente una ragazza della scuola di lingue ad aspettarmi, col cartello e il mio nome sopra. Evgenia mi ha accompagnato in macchina all'appartamento in Uspenskaya al numero 9. Bell'appartamento, palazzo neoclassico dai soffitti alti più di tre metri. Mura tappezzate di verde, tutto riflette un gusto borghese che nel corso dell'ultimo secolo non ha visto il minimo intervento di manutenzione. Di questo ne riparlo tra un po'.
Ho subito incontrato il primo dei miei coinquilini, il tedesco Stephan. Gli ho chiesto se c'erano negozi aperti nelle vicinanze, perché avevo fame e volevo comprare qualcosa. Siamo usciti dunque in direzione di un negozio che avremmo trovato aperto fino a mezzanotte.
Odessa di notte non è un grande spettacolo. Avrei visto nei giorni seguenti che la vita notturna è da tutt'altra parte: in Riviera, ad Arkadia.
Il giorno seguente, domenica, ci siamo aggregati entrambi al giro organizzato dalla scuola, un tour per la città. In quell'occasione abbiamo incontrato gli altri studenti, e con loro siamo andati a pranzo in un bel posticino dall'aria bohemiénne, che mi ha ricordato molto Praga. Ho conosciuto in quell'occasione Frank, Sacha, Sergio, Adrien (e poi Anna la ragazza ucraina). Tutte persone interessanti, che studiavano il russo per qualche motivo non banale.
Il giorno dopo ho iniziato il corso di russo, e la sera ho aderito all'invito di Adrien che aveva organizzato una festa di benvenuto per i nuovi studenti. Nel piccolo locale in cui ci ha portati, l'Exit Bar, ho conosciuto tre ragazzi americani, navy seals in missione in Afghanistan che si trovavano a Odessa per una breve vacanza. Con loro abbiamo festeggiato il giorno dell'indipendenza americana. Succede proprio di tutto, da quelle parti.
Nella prima settimana non sono mai andato in spiaggia. Il tempo era brutto, sembrava proprio che il clima irlandese mi avesse seguito fin là.
Verso la fine della prima settimana è apparso il sole. Siamo andati all'Arkadia, abbiamo ballato e io ho scoperto il B52: una delle grandi conquiste dell'estate.
Sebbene la scorsa estate non abbia impiegato tanto tempo per farmi l'hit-parade personale delle chansons estive (indimenticabili: "Soul sister" dei Train, "A Silvio" di Andrea Vantini, la sigla de "Il dottor Slump e Arale", più qualcun'altra che ora mi sfugge) questa estate per me suona senza tormentoni.
Mi sono innamorato di alcune figure mitologiche, tali Donne, che forse non sono altro che l'ombra di proiezioni di un'immaginario arcaico e consunto, reso obsoleto dalle vacche artificiose della televisione.
Ho conosciuto Marina, l'ho vista nel bar Kompot dove serviva ai tavoli. Ci sentiamo ancora ma facciamo (anzi: faccio) una gran fatica a tenere i contatti. Lei parla solo russo, io mi arrangio, ma l'amore non può fondarsi sul Google Translator.
Visto che adesso sono le 00,03 mi verrebbe spontanea una riflessione, su Google Translator e l'amore, ma dopo l'ennesimo film pseudo-intellettualistico che NON mi sono fatto MA ho visto fare ad altri, ho deciso di ovviare.
L'estate a Odessa per me è associata ai pantaloni neri di pelle di Xenia, alle foto di Stefan in cucina quando meno se l'aspettava, ovviamente alle parole scandite lentamente dall'insegnante di russo a lezione (che si rivolse a me chiamandomi "maladoi cilavek", e da allora io sarei rimasto tale e quale, come in tutte le fiabe che hanno un inizio e uno svolgimento simile alla mia estate odessana), e poi ad altro. Altro... Ecco, sì, dimenticavo Tatjana, la sua dolcezza, il suo borsh. Poi i gatti di Odessa, tutti dal pelo lungo e dalle strane sfumature. Le strade dai marciapiedi disastrati, con buchi come crateri. Adrien che nella sua ultima serata all'Itaka club si fa quasi buttare fuori da uno della security perché "importuna" la ballerina.
Non ricordo poi che altro. Tutto è accaduto quasi in simultanea, così mi sembra da quanto è stato veloce.
Mi sono ritrovato un bel giorno all'aeroporto di London Gatwick, il 19 luglio, e mi sono accorto che tutto era finito...
Avevo quattro ore davanti a me, prima che partisse il mio volo per Dublino, il terzo e ultimo della giornata che mi avrebbe ricondotto a casa, dove il lavoro mi avrebbe riassorbito.
Questa la racconto, perché tutto sommato ci sta bene nell'insieme.
Avevo con me il netbook Samsung, e nella notte avevo tenuto la batteria in carica. Avevo pensato di trascorrere le cinque ore d'attesa in aeroporto guardandomi qualcuno dei film che da tempo stazionavano sul desktop. Avendo poca scelta, perché i più li avevo già visti, ho iniziato a vedere "Non aprite quella porta 3". Penso che qualcuno dei passanti, nella miriade di viaggiatori che passavano intorno alla panchina metallica su cui io bivaccavo, abbia notato la mia faccia terrorizzata davanti al piccolo schermo. (In realtà c'è poco da terrorizzarsi: solo un paio di scene, che sono comunque lontane per impatto visivo dal capolavoro del film originale). Il film non meriterebbe alcuna menzione: fa piuttosto schifo, diciamoci la verità. C'è Viggo Mortensen nella parte di Tex, che è il personaggio meno credibile e peggio caratterizzato della famiglia di cannibali segaioli. Nel complesso la sceneggiatura è lacunosa, le battute sono banali e si vede che volevano risparmiare d'inchiostro. Mi azzardo a dire che il film faccia ca---e. Sento però di dovermi trattenere dall'esprimere un giudizio definitivo e tanto pesante. Il perché sta tutto nel film che ho visto dopo questo film. Siccome mancavano ancora 2 ore alla partenza del mio volo, infatti, mi sono risolto a guardare un altro film che avevo lì a portata di mano. Ho guardato così Giallo, l'ultima opera di Dario Argento, genio del trash pauroso made in italy. Al termine del film resta l'interrogativo: quanto è stato pagato Adrien Brody per convincerlo a rovinarsi la carriera con un film tanto cesso? Nel mondo accadono cose perverse, il mondo dell'arte sta ben attento a non lasciarsi scappare nulla.
La Ryan Air mi ha infine riportato a Dublino. Per arrivare a casa c'era da affrontare prima un lungo viaggio in autobus, ma la sorte ha voluto che la compagnia mi avesse dato il mercoledì come giorno libero, da recuperare poi il sabato. Ho contravvenuto dunque all'imperativo biblico degli ebrei, accettando di lavorare il sabato, ma in fondo a me interessa il giusto perché, dettaglio che forse è troppo verboso aggiungere, e che a quest'ora potrei omettere per andare a dormire, ebreo io non sono. Sicché ho passato il mercoledì a Dublino.
La saudade del Mar Nero mi ha colpito, ho sofferto molto questo ritorno.
Bisogna però chiudere col passato, facendo tesoro di tutto quel popò di incontri straordinari che ho fatto... Questa è una ricchezza che si conserva nel tempo, che grazie a Facebook e ai social networks si protrarrà nell'arco della mia, della nostra vita, secondo quel che gli imprevisti ci porteranno a vivere.
Mi accorgo di essere particolarmente prolisso, e sono le 00,44.
Insomma, per dire le ultime parole: una pagine si chiude, ma forse (anzi: sicuramente) in un qualunque momento si può riaprire, come tutti i bei libri che si possono leggere da più prospettive.

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