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domenica 19 giugno 2016

Barcellona. C'è qualcosa là dietro

Qualcosa si nasconde dietro quelle fronde, quelle verdi fronde di alberi piantati a intervalli regolari, lungo tutto il Paseig de Gracìa.

Ci provo in vari modi a fare una foto decente, ma vuoi perché non ho una tecnica sopraffina, vuoi perché i promotori del turismo non hanno impedito che gli alberi fossero messi lì, a coprire le facciate dei palazzi di Gaudi, le foto sono deficitarie. Vabbé, qualcosa si intravede comunque.

Gaudi è quello delle architetture strane. Il suo modernismo è diverso dalle cose moderniste che stanno altrove. Pure a lui hanno appiccicato delle etichette, quando probabilmente la definizione del suo stile è: lo stile di Gaudi. Non mi fanno impazzire le facciate, però sembrano posti abitabili, luoghi in cui uno può sentirsi a casa. Ho pensato questo in relazione alle architetture fredde, rigide, brutte se non addirittura mostruose che ancora ci ostiniamo a considerare arte (non parlo delle costruzioni di edilizia popolare, ma di quegli orrori firmati da Renzo Piano, Fuksas, et simili). Le forme di Gaudi sono ancora a misura d'uomo. Il suo modernismo è ancora espressione di un'umanità. Quello che è venuto dopo, beh... Ma sì, torniamo a parlare di Barcellona, che sono ancora qui, in attesa dell'autobus per Tossa de Mar.
Il ristorante La Pedrera sta sempre sul Paseig de Gracìa e sembra il ristorante dei Flintstones (dall'esterno). Barcellona è una città che costa. Ho scoperto che il leche y leche che tanto mi incantava alle Canarie qui, nella penisola, non esiste. Gracìa è una bella zona, ma a prima vista può sembrare noiosa e povera di divertimenti.
La Plaça de la Virreina è nascosta ma vale la pena di scoprirla. Carrer de Bruniquer è lungo e c'è tanta roba. Sono finito allo Hostal d'Art, sede dell'associazione culturale Caja Fuerte, che organizza regolarmente serate di flamenco, salsa, e un po' di tutto. L'ente è stato messo su da un eccentrico calabrese, che ha portato nell'agenda una sana ventata di meridione italiano. Tutti i giovedì c'è la serata di salsa, con cinque euri ti fai la serata e c'è un mojito incluso (fra l'altro, è il mojito migliore che abbia trovato - e a me il mojito normalmente fa schifo). Passando per il carrer de Bruniquer di sera, una birra da Obama ci sta sempre. Su Traversia de Gracìa, parallela del carrer sopra detto, c'è il Calmado, posto giusto per un drink o per mangiare qualcosa di veloce e gustoso.
Andiamo fuori Gracìa e vediano cosa c'è.
Barcelloneta: spiagge brutte, cocktail costosi. Inoltre per sfiga ho beccato l'unico pomeriggio di vento e pioggia. Voto: 5
La Rambla: straripa di gente losca, di malaffare e sgualdrine che cercano di fermarti in mille modi. Per la prima volta in vita mia ho visto una ragazza, qui, che si è tirata giù i pantaloncini e le mutande, si è accovacciata e ha pisciato dietro un lampione. Voto: 3
Banco de Espana: il primo giorno l'ho trovato chiuso, perché è aperto fino alle 14h. Il secondo giorno ci sono andato per tempo, ho mostrato al cassiere le foto degli euri spagnoli che cerco per la mia collezione, e senza alcun'obiezione il gentiluomo catalano mi ha cambiato 150 euri in pezzi da 2 euri della  moneta celebrativa di Segovia. Voto: 150
Carrer de la Fusina: non saprei dire dove si trova, perché ci sono arrivato con l'autobus in stato di semi-incoscienza, ma è il posto migliore per mangiare qualcosa all'aperto, senza il casino d'intorno. Voto: 9.

Marzio Valdambrini © RIPRODUZIONE RISERVATA

martedì 14 giugno 2016

Porto, ti porto nel cuore

Ho lasciato questa città ieri notte.  Per chi si domandi di quale città sto parlando - sta scritto nel titolo, la ripetizione non era un refuso.
Sette giorni a Porto sono forse troppi per i viaggiatori distratti che si accontentano di scattare foto alle bellezze barocche ricoperte di azulejos, ma non lo sono affatto per chi ama immergersi nella profondità, nell'anima in questo caso passionale e focosa, calda e accogliente, di questa antiga, mui nobre, sempre leale e invicta citade do Porto, come per definizione storica.
Il mio arrivo però non mi ha fatto presagire nulla di ciò. Sono sbarcato di sera all'aeroporto, e la metro mi ha condotto fino a Bolhao. La Rua Santa Catarina mi ha portato dritto in Praca do Baralha, la fastosa cornice di un paese scivolato verso un inarrestabile declino. Alle undici di notte, in mezzo alla piazza c'è un'ente di onesti volontari che distribuisce i pasti ai poveri e ai barboni. Inoltre, il tratto fra Rua Santa Catarina e Praca do Baralha era pieno di sacchi dei rifiuti buttati lì, dove capitava, sui marciapiedi. In mezzo a spazzatura, barboni e figure derelitte d'ogni tipo ho pensato proprio che Porto non fosse altro che una versione meglio decorata di Bruxelles, una Bruxelles rivestita di azulejos. Nei giorni seguenti ho potuto rivedere e ampliare tale opinione, un po' grazie a una visita guidata e un po' muovendomi a caso per le stradine e i cunicoli. Non poteva esser solo quello, certo: la città deve in qualche modo render conto del suo pretenzioso titolo, città invicta, mui nobre etcetera.
La storia della città si scopre insieme alla storia stessa del Portogallo. Di questa ci ha parlato Pedro, la guida che ci ha portati in giro per un'intera mattina (il free guided walking tour che si prenota, dal sito www.portowalkers.pt, è very very recommended :) ).
La vecchia storia portoghese, nelle sue tappe significative, è raffigurata nei bei dipinti all'interno della stazione ferroviaria, e di fatto la scoperta della città non può che partire da lì.
La storia è pressappoco la seguente. (C'è un po' di vaghezza e scarsità di dettagli, ma questo è ciò che accade quando i post si scrivono a distanza di tempo dall'esperienza che si vuol raccontare). Insomma, dicevo, la storia è questa: c'era il re di Castiglia e Leon che lottava contro gli arabi, che all'epoca avevano occupato la penisola iberica. Il Pedro che è poi ricordato come primo re del Portogallo era un prode signore, che accolse con entusiasmo l'incentivo che gli fu offerto: fai piazza pulita, e la terra che ti riesce liberare è tua di diritto.  Rifacendosi da nord, l'implacabile conquistatore arrivò fino in fondo alla penisola, e con ciò si definirono i confini del Portogallo - che sono rimasti gli stessi fino ad oggi. Il paese ha prosperato nei secoli grazie alle velleità marittime dei suoi governatori. Il re (Enrico?) il Navigatore sarebbe andato un po' ovunque, ma purtroppo in Canada ci arrivò in inverno, qui trovò il ghiaccio, e la paura di esser arrivato ai confini del mondo, col conseguente rischio di cadere fuori dalla terra piatta, lo fece tornare indietro. Ci sono stati poi dei problemi coi francesi, che li hanno invasi. Rapporti migliori con gli inglesi, che li hanno omaggiati con le cabine telefoniche rosse (ora inutili, ma ci sono). La modernizzazione del paese passa attraverso una lunga serie di scontri con la Chiesa: la stessa stazione dei treni fu costruita dove sorgeva un convento, e per non dover buttar fuori le monache si dovette attendere che l'ultima morisse di vecchiaia. Sulla francesinha probabilmente scriverò un post apposta (come suona bene, mi piacciono le allitterazioni).
"How do you recognize a portuguese?" ci ha chiesto la guida. E pure ci ha dato la risposta. "From the moustache. Regardless of the gender".
Eppure gli aneddoti non bastano a spiegare Porto. La metafisica di questa città è probabilmente la stessa metafisica di Lisbona, il loro comun denominatore è l'essere su continui dislivelli, le strade salgono e scendono ma mai restano piane, garantendo una presenza impressionante di scorci d'ampia visuale, scenari per foto da turista o da semplice esteta di città. Non ci si annoia, ma ci si può stancare. Le donne non portano i tacchi, è impossibile a Porto come a Lisbona. La sua metafisica, forse la sua essenza, sta in una sintesi fra il suo heideggeriano essere-per-il mondo-in-costante-degrado, la saudade del suo popolo (che, credo, sia un ibrido senso di insoddisfazione esistenziale conseguente alla percezione del sé caduco di fronte al fluire costante del tempo e della grande storia, di uggia per il caldo, e del rimpianto di un amor perduto col conseguente lamento che è ritualizzato nel fado, impetrando ed elevando lo stesso sentimento di saudade a livello popolare e nazionale, fino a farne la forma più viva della sua umanità. Il fado celebra il destino delle sofferenze di quest'anima focosa e soffocata, e l'ascolto del canto di Amalia Rodrigues vale più di ogni argomentazione.
O Fado nasceu um dia,
quando o vento mal bulia
e o cu o mar prolongava,
na amurada dum veleiro,
no peito dum marinheiro
que, estando triste, cantava...


Marzio Valdambrini © RIPRODUZIONE RISERVATA