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sabato 30 settembre 2017

Tradurre qualcosa di cui non c'è bisogno

Non ho fatto mistero di voler affrontare temi che lasciano il tempo che trovano, in questo blog. Non mi voglio impegnare in argomenti per i quali valga la pena perderci del tempo. Non afferrerò mai i profondi misteri della Search Engine Optimization, e credo resterà un rebus irresolubile la dinamica che porta Google a piazzarmi una pubblicità alle visite guidate della Dalmazia nel mio blog. (Certo, meglio comunque questo che i banner sulle protesi dentali che una volta mi son trovato sul lato destro del blog, argomento per nulla riconducibile alle cose belle di cui si vuol trattare).
Sono adesso seduto in poltrona, e fra le varie cose che mi passano per la testa, c'è pure il film della Coppola, "Lost in translation".
E' un periodo difficile, si capisce. L'estate. C'è l'afa, il caldo. La solitudine. L'amore che proietta un'ombra sinistra su tutto quel che gli va dietro - salvo poi scoprire che l'amore è a sua volta è un'ombra. Il lavoro che non c'è. Gli amici scomparsi. Necessità di certezze su cui poggiarsi, come delle ciabatte per muoversi comodamente.
[trascorrono quasi 2 mesi, fino al giorno in cui recupero la bozza di questo post, finora non pubblicato, e decido di portarlo avanti]
Dunque, sorpresa! Mi ritrovo ora seduto sulla poltrona a conchiglia del Van Gogh Hostel di Bruxelles. Qualcuno ha
dimenticato un pacco di fusilli nella cucina dell'ostello, stanno ora quasi per bollire. Sono di passaggio, ora a Bruxelles, e da qui mi muoverò domani per Amsterdam. Destinazione Catawiki. Vado a dare un'occhiata, mica nulla di serio, per ora. Anziché domandarsi se un lavoro ad Amsterdam corrisponda alle mie esigenze del momento, ho deciso di muovermi per trovarci sul posto le risposte. Il film "Even the lovers get the blues", che ho visto ieri sera al cinema della galleria vicino alla Grand Place, mi è piaciuto molto e mi ha trasmesso riflessioni profonde. Il regista ha fatto un ottimo lavoro, sia sul piano tecnico, che sul piano del racconto della storia, che non cade mai nella banalità, e soprattutto nella volgarità e nel gratuito cinismo a cui simil storia si prestava. Molto raffinato, direi che è il miglior film belga che ho visto finora. Mi sta ispirando per scrivere qualcosa di nuovo, che affronti un tema simile, ma nel diverso contesto italiano.
Marzio Valdambrini © RIPRODUZIONE RISERVATA
 



mercoledì 28 giugno 2017

Post concettuale

E se non fosse un virus?  

Questa è la domanda che mi ha spinto a esaminare con occhio più analitico la cartella dei messaggi pervenuti da sconosciuti. Messaggio arrivato con allegato file FDX. Google mi dice che non è un malware, in effetti. Si tratta di un testo prodotto da Final Draft.
A dire il vero, non so cosa scrivere ora per andare avanti con questo post. Avevo pensato di scrivere qualcosa, me l'ero sentito, ce l'avevo dentro. Avevo trovato la determinazione, quella cosa che in genere mi viene nei momenti inappropriati, quando nulla può uscir fuo. E invece ora mi trovo qui, davanti allo schermo, a guardare la finestra bianca e vuota del blog.
Trovare l'impulso è il segreto. Si cerca, e si trova in tanti modi.
Gli scrittori soffrono il blocco della pagina bianca. Per me le pagine possono essere bianche, ma non vuote. Una pagina non è mai vuota. Vedo un foglio e subito mi viene in mente qualcosa che lo può arricchire. Ci fai dei ghirigori, sui fogli. Un frego, una riga. Un asterisco, una pallina. Ci fai tante cose, e ogni cosa parla di un diverso alfabeto. Di un mondo, di un momento della tua vita con la sua storia e le sue idiosincrasie.
In una pagina vuota ci puoi mettere il vuoto. Facendolo sembrare qualcos'altro, ma che evochi il vuoto. L'infinito, che forse è vuoto. E' una parola o un concetto? Anche i concetti sono parole. Con o senza didascalie.
Per vincere il blocco della pagina bianca uno scrittore si siede, al suo posto di lavoro. Davanti alla scrivania. O a un tavolo. O anche al comodino, o sulla tazza del cesso. Insomma, l'importante è sedersi. E tutto inizia da lì.
Anche i blogger soffrono di un problema simile. Però il caso del blogger è diverso. Si tratta sempre di riempire, sì. Ma il ragionamento segue un'altra logica. Quando scrivo il post, io non penso solo a raccontare qualcosa. Penso che tu poi ci devi cliccare. Che devi leggere fino in fondo. Che magari dovresti condividere il post. Perché altrimenti non serve a niente. Insomma, interviene il marketing. Ma ecco, fermiamoci un attimo.
Sono passati dodici minuti da quando ho pensato, erroneamente, di poter scrivere un post sul file FDX che una giovane sceneggiatrice americana mi ha inviato, e ora mi si accende una lampadina.
E' arrivata l'ispirazione.
Bologna. Sala Borsa, in Piazza Maggiore. C'erano dei poster di un film con Brigitte Bardot. Tié! Ci infilo qui una foto, e risolvo il discorso del post.

Marzio Valdambrini © RIPRODUZIONE RISERVATA



venerdì 23 giugno 2017

Un altro post sul Destino partendo dal fondo

Cologno Monzese. Mi sveglio e sono su una brandina. 

Non so perché, ma qualcosa, al risveglio, mi ha fatto ricordare che avevo (e ho ancora) un blog. Del quale mi ero pressoché dimenticato. Ci entro, fatico a ricordare la password, e puf ! alla fine, eccomi qui.
Noto che l'ultimo post è datato dicembre 2016. Dio, il tempo è volato. Che ho fatto in questi mesi? Mi sono sbattuto per il cortometraggio, che è pressoché finito ma sembra non voler finire. Ho intrapreso l'avventura dal molto incerto esito nel mondo della sceneggiatura televisiva (avventura che, per ora, è ferma alla definizione dei preliminari con cui si pensa di partire). Sono tornato a Odessa (quarta o quinta volta), per una breve durata, che mi ha messo davanti ad alcune imprescindibili verità: l'uomo ama. L'uomo vive di amore, non solo di progetti per il futuro.
E ora, che aspetto di fare il doppiaggio di una scena del mio cortometraggio (e questo è il vero e unico motivo per cui sono finito ora a Cologno Monzese) sto davanti allo schermo piccolo e un po' sudicio del netbook, davanti al blog, e penso: che ci scrivo di nuovo?
Di nuovo  non ho mica nulla. Finiamo qui allora. Sono le 9,50. L'ora di riprendere in mano la propria vita, di riassumerne le redini, come un'auriga stoico dell'antica Grecia che decide di sovvertire il rapporto col Fato, senza però subirne le conseguenze. No, no, questo è troppo. Mi limito a guardare siti internet che parlano di cose insulse, simpatiche cazzate, in attesa di fare il doppiaggio.
Per gli appuntamenti importanti e per i ritardi con gli appuntamenti importanti c'è sempre tempo.
Una foto, qui, oggi non ce la metto.

Marzio Valdambrini © RIPRODUZIONE RISERVATA