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sabato 27 novembre 2010

Iniquità irlandesi

Il bilancio della settimana non può dirsi in perdita. Lunedì mi sono trasferito nel nuovo appartamento, che ho affittato col collega Josh. Il contratto era già firmato, quando abbiamo scoperto il terribile inganno ordito dall'avido padrone di casa (the landlord). La pompa dell'acqua, chiusa in uno sgabuzzino, fa un casino infernale e abbiamo dovuto attendere per due giorni il fatidico intervento dell'idraulico.
Adesso siamo ai ferri corti: o il landlord interviene col suo cash per cambiare la pompa, o noi saremo costretti a rompere il contratto. Non sono cose facili da farsi. Purtroppo c'è di mezzo la legge, che come al solito protegge e tutela i disonesti e punisce gli ingenui per la loro ingenuità (questa scomoda virtù).
Ma la settimana mi ha riservato qualche momento piacevole.
La scorsa domenica andato sulla costa a vedere l'oceano, in un posto in cui non c'è altro, e l'attenzione mi è caduta sul distributore di palettine per rimuovere la cacca dei cani: tali oggetti qua sono chiamati Poop Scoop (poop sta per cacca, forse popò, e scoop credo che stia per paletta).
Beh, forse il bilancio di questa esperienza irlandese non è particolarmente ricco di argomenti.
Ma d'altra parte mi devo ancora ambientare, devo conoscere la cultura di questo popolo, e già trovare un punto di partenza non si presenta impresa facile.
Oggi è sabato, ho fatto una dormita che mi ha tolto le rughe di stanchezza e le borse sotto gli occhi, che ho tenuto da lunedì per via del sonno insufficiente. Davanti a me ho un weekend di relax.
Vorrei scrivere quanto ho appuntato nel corso della settimana ma non trovo più i foglietti. Non mi rammarico di questo: se non ricordo cosa avevo pensato, non posso nemmeno pensare a quel che avevo scritto.
Ne approfitto per dire di quell'articolo di Alberoni sul Corriere della Sera, che avevo anticipato nel precedente post.
Il sociologo dei salotti ha scritto che oggi non esiste più una divaricazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, quella vecchia distinzione che un tempo era attestata col possedere o no un pezzo di carta.
Quel che lui dice è vero, ed è pure banale. Io stesso mi ci ero soffermato, un paio d'anni fa, quando lavoravo come rappresentante di un costoso prodotto informatico. Dovetti far visitare a un potenziale cliente, che mi disse che pure un operaio deve usare l'intelletto per lavorare e portare a casa lo stipendio, e perciò era pure quello un lavoro intellettuale.
Pensai che il vero intellettuale è quello che usa l'intelletto per produrre effettivamente qualcosa, mentre il dipendente dell'università è solo un impiegato pubblico che fa il lavoro di un impiegato.
Pensai, spingendomi un po' più in là, che il lavoro intellettuale inteso alla maniera classica, nel mondo d'oggi non andrebbe neppure considerato come lavoro.
Il lavoro intellettuale non è lavoro, infatti, perché da esso non si trae utilità o profitto (se non in maniera indiretta, com'è il caso di chi insegna agli altri, che a loro volta dovranno fare lo stesso).
Quel che mi ha colpito, dell'articolo di Alberoni, è la conclusione che invece pone lui al discorso. Scrive che il merito o il talento di una persona deve prescindere dal possesso di un pezzo di carta, dal momento che oggi le competenze si acquisiscono sul campo. Non c'è nulla di sbagliato nel ragionamento, ma a stonare sono due cose: il mittente e il contesto in cui è lanciato il messaggio.
Se fosse davvero coerente, il mittente del messaggio dovrebbe specificare: "Io non so nulla di quel di cui parlo, e qualche tecnico delle caldaie forse avrebbe più diritto di me a scrivere articoli del genere sul Corriere". L'autore dell'articolo, invece, lascia del tutto in sospeso il discorso. La sua posizione non è minimamente trattata dallo stesso.
Se la prima preoccupazione di un "intellettuale" di professione dovrebbe essere la legittimazione della propria autorità di giudizio, va notato che qui tale preoccupazione non sfiora minimamente i pensieri dell'autore.
Può esser vero che la miglior scuola è la strada. Ma se a dirlo è uno come Alberoni, che senso bisogna dare alla frase?

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