Translate

mercoledì 25 agosto 2010

Estetica contemporanea del paesaggio. Terza visita a Tuffiah Bay.

Tanti pensieri si accavallano, i progetti vanno a gambe all'aria. Le coppie si disfano, ogni mano di poker scopre segreti impensati. Eppure qualcosa sopravvive, e sfida le regole del gioco.
Queste parole si prestano bene a illustrare una cosa che stavo scrivendo... prima di interrompermi, per andare a girare i fusilli che nella pentola rischiavano di incollarsi.
Adesso voglio parlare d'altro; la coerenza anzitutto.
Per la terza volta, nell'arco della mia esperienza maltese, sono stato a Tuffiah Bay, un luogo splendido sulla costa nord-occidentale dell'isola. Non ero solo; la presenza di un'amica ha allietato il viaggio.
Ci siamo arrampicati con le infradito sulla collina di rocce che domina la punta della baia, e che confina con un'altra baia normalmente famosa per la presenza di nudisti. Da lassù abbiamo ammirato la profondità del panorama, che si estendeva in tutte le dimensioni. Lassù, alle pendici rocciose di quel luogo tanto mediterraneo, ho riflettuto per almeno un minuto sull'estetica del paesaggio.
Adesso, con più calma e nella quiete (ugualmente torrida, purtroppo) del divano nel soggiorno, posso tracciare dei collegamenti bibliografici con tale soggetto. Hegel vedeva nelle Alpi un luogo tetro, dove non vi era bellezza e il disordine privo di estetica che la natura aveva prodotto. (Anche lui era legato a una concezione dell'estetica legata a un'idea di eticità). Burke, più tardi, ha invece amato gli spettacoli tribolanti della natura, esprimendo il piacere delle grandi potenze che trascendono l'uomo e superano la ragione (e perciò l'etica). Personalmente non credo che il bello e il brutto siano attribuzioni relative di significato, come una certa tendenza volgare dell'estetica contemporanea ci spinge a ritenere. C'è del bello in tante cose; nei monti e nei laghi, nelle frasche e nei pioppi, nelle dune di sabbia giallina come pure nelle pendici scoscese di un crepaccio. Ma nella natura, in ciò che la natura ha prodotto in epoche antiche o primordiali, possiamo davvero dire che ci sia qualcosa di brutto? Il Vesuvio va detto brutto, per il fatto che insidia la vita dei napoletani? Non crediamo questo. Lo avremmo detto se, anche noi come Hegel, avessimo pensato in termini di un'estetica permeata da una connotazione etica. Ci vorremmo domandare, a questo punto: ma oggi, dove la natura selvaggia è diventata un interessante argomento d'esplorazione, un vasto mondo da sfruttare ai fini dell'industria turistica, e le sue stereotipazioni attraggono visitatori, cercatori di riposo e di solitudine, eccetera eccetera, in tutto questo contesto, può trovarsi ancora un paesaggio naturale che vada considerato brutto?
Crediamo di no. (Escludendo ovviamente i paesaggi su cui ha inciso la mano dell'uomo). La spiegazione sta nel fatto, probabilmente, che oggigiorno la civilizzazione umana ha svelato le proprie brute conseguenze (dopo aver illustrato, propagandato e declamato però le preziose conquiste). Con ciò, è apparso che le acque avvelenate dal petrolio e dai diserbanti, le terre rese sterili dagli stessi veleni, per non parlare delle terre rase al suolo da qualche guerra, devono il loro connotato di bruttezza alla determinante incidenza dell'intervento umano. La natura alterata dall'uomo è una natura depauperata, giustamente oggetto di una valutazione morale. E qui si reintroduce la concezione hegeliana del paesaggio: un luogo distrutto dalle bombe è un brutto spettacolo, perché alla semplice osservazione si aggiunge la considerazione etica di quel che l'ha portato ad esser tale. Vogliamo notare questo spostamento di significato in chiave di interpretazione estetica: è la visione del paesaggio risultato dell'azione umana che si è spostata la concezione di una "estetica morale" come quella avallata da Hegel e dai suoi colleghi romantici tedeschi. Perché la concezione estetica ha perduto il tema etico, nel corso del Novecento, e l'ha ritrovato più recentemente, ma applicato solo a quel che l'uomo ha manipolato? Potremmo rispondere in questo modo (volendo esser rapidi, perché è tardi e questo è solo un blog): l'uomo si è reso conto che la natura non fa cazzate.
[Il sottotesto della conclusione può esprimersi, in chiave argomentativa, così: dal momento che la natura tende a creare un'armonia, non può trovarsi nulla di brutto al suo interno. L'azione dell'uomo ne modifica l'opera e la stravolge. L'intervento disarmonico è "brutto" perché rivela (nel senso heideggeriano del termine) la corruzione di quanto prima era posto. Ogni intervento perturbatore dell'ordine naturale (che col tempo ha assunto una connotazione etica positiva), che oggi è perlopiù identificato con l'intervento dell'uomo che stravolge un habitat per piegarlo ai suoi fini, è brutto dunque perché nega quel che si ritiene positivo. Scopriamo così che il brutto non è tanto l'antitesi del bello, quanto invece ciò che fa violenza al bello. Il brutto, nell'estetica del paesaggio, è la categoria di tutto quanto si è sostituito a qualcosa di incontaminato che gli preesisteva, e che l'intervento umano ha soppresso o modificato con propositi privi di preoccupazione per il rispetto ambientale.]

Marzio Valdambrini

Nessun commento:

Posta un commento