Un altro sabato ci trova a Msida, e per l'esattezza ci trova sul sofà. E qui pensiamo bene di scrivere qualcosa sul blog, che giace inerte e muto da 3 lunghi giorni. Cosa scrivere? Quale nuovo argomento, importante o irrisorio, a cui dedicare cinque minuti del nostro tempo?
Quando il sole tropicale picchia, e si suda anche solo a respirare, tutto ci appare sotto una luce diversa. Nessuna categoria estetica è stata ancor'oggi definita rigorosamente, per poter esprimere questo sentimento che fonde la melancolia con lo spleen baudelariano.
Gli amici oggi mi hanno abbandonato: sono andati a Gozo, l'isola a est di Malta. Staranno via tutto il weekend, e in questo lasso io sperimenterò la più accaldata delle solitudini. A consolarmi, ci sarà soltanto il corpulento volume dell'Età secolare, di Charles Taylor. Beh, ci sarebbe anche il barbecue di stasera, ma quello più che una consolazione mi pare un obbligo che mi è imposto dai legami sociali che involontariamente ho intessuto con chi mi stava attorno.
Ecco, possiamo parlare dell'estetica dei legami sociali.
Ogni relazione può dirsi bella o brutta. Nella banalità delle espressioni, è indubbio che il fatto che si percepisca ogni relazione connotata da una specifica qualità sensibile; che ci rallegra o ci annoia, che ci opprime o ci è indifferente e in tal caso è solo uno scialbo pretesto per passare il tempo. Il fatto che l'uomo sia un animale sociale, o che la sua natura sia soprattutto sociale (come oggi tanti sociologi sottolineano e ripetono fino alla nausea) vorrebbe farci pensare dunque che l'uomo nasce, cresce e si sviluppa in costante riferimento alla rete sociale in cui vive inserito. La vita stessa, è la congiunzione del sé con una pluralità di elementi esterni, quali appunto gli altri individui e tutto quel che le circostanze vi includono. L'estetica della vita sociale è dunque la tessitura di tante note, che insieme compongono un'armonia. Oggi siamo in compagnia di una persona che ci rallegra; domani ne avremo a noia. Un altro domani, forse, ne sentiremo accresciuta l'importanza. Il mistero delle cose belle, così come quello di ogni relazione che ci appaga o ci entusiasma, sembra dunque pertinente a un mistero più grande, che chiamiamo da sempre il mistero della vita. Quest'ultimo infatti lo comprende; se il piacere o il disprezzo (come ogni impressione estetica) concerne una relazione, univoca o biunivoca, ma sempre avuta all'interno di un discorso sociale, e pure consideriamo che l'uomo è per essenza un animale sociale, ci appare ovvio che il problema estetico sia pure un problema antropologico. Da qui il rimando all'estetica in chiave di scienza umana (e si ricordano le ricerche in materia svolte da Levy-Strauss). Ma se superiamo il piano puramente empirico, qual'è appunto quello trattato dallo scienziato, e ci volgiamo al mistero, troviamo che nella percezione estetica si rivela qualcosa di trascendente. E questo è ciò che un approccio antropologico all'argomento deve per forza travisare. Dicendo che il mistero della bellezza pertiene al più grande mistero della vita diciamo appunto questo: vi è un rimando più forte, superiore alle categorizzazioni e alle spiegazioni causali del sentimento di qualcosa o qualcuno (come pure di una relazione sociale), che non è affatto riducibile a una logica meccanicistica (quale si intende, nel più comune e banale degli esempi, la logica dell'utile o dell'interesse).
Cercheremo di approfondire il discorso in altra sede.
Adesso ci limitiamo qui a subire il caldo; come unico rimedio abbiamo la possibilità di andare in camera, dove spira adesso un filo di vento. Per introdurre il prossimo post (o uno dei prossimi), attacco qui sotto il link a uno splendido video di Georges Ivanovic Gurdjeff, un grande maestro dell'Occidente, che merita decisamente la nostra attenzione.
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